Vorrei ringraziare tutti coloro che ieri sera hanno partecipato all’incontro sul civismo politico, tenutosi a Lavis presso la Cantina La Vis. L’evento di ieri, e gli altri due in calendario, sono aperti a tutta cittadinanza ed hanno lo scopo di confrontarsi e ragionare assieme su argomenti di stringente attualità e di primaria importanza.
Per quanto concerne il tema di ieri, il civismo non ha che fare solamente con le liste civiche, ma riguarda più in generale tutti i cittadini ed è uno dei contenuti della buona politica: è l’impegno delle persone nella società, anche con modalità che non sono il “fare politica” in senso stretto, è la dedizione per la propria polis, per la propria comunità e per il suo futuro. Nel secondo incontro, la rete e la politica, discuteremo delle difficoltà di costruzione del pensiero che la politica incontra al giorno d’oggi e ci interrogheremo sul ruolo della rete: mero facilitatore nell’elaborazione condivisa di nuove politiche o strumento imprevedibile e difficile da gestire? Infine, nell’ultimo appuntamento parleremo dell’etica in politica, riflettendo sui valori che stanno alla base del fare politica e sulla capacità di tradurre tali valori in azione concreta, spesso attraverso un’imprescindibile opera di mediazione.
Ugo Rossi
A seguire un sunto dell’intervento di ieri sera del Prof. Stefano Rolando, docente presso l’Università IULM di Milano:
Il civismo oggi affronta una sfida importante, quella di saper guardare anche al di fuori delle comunità interessate, visto che troppo spesso rimane rinchiuso in una dimensione strettamente localistica. Parlando di superamento dei confini, uno studio ha dimostrato ad esempio che apporre il marchio “Trentino” ad uno yogurt lo rende più appetibile al consumatore, dimostrando che quel marchio evoca a livello nazionale un’idea positiva di questo territorio. Il Trentino quindi porta con sé una capacità attrattiva che, a livello di marketing, è un importantissimo valore aggiunto. La storia di un territorio comporta anche il trasferimento di una serie di valorialità condivise che con il tempo si sedimentano e diventano ciò che gli altri percepiscono come buono o cattivo. Ebbene, il Trentino fa sicuramente parte delle cose buone.
Occupandoci più specificamente di cosa sia il civismo, in una prima accezione è considerato civico di solito colui che si comporta bene con gli altri e con il proprio ambiente e che, rispettandoli, si assume di conseguenza anche delle responsabilità, sia verso se stesso sia verso la sua comunità. Robert Putnam è un sociologo che anni fa scrisse un libro, “La tradizione civica nelle regioni italiane”, nel quale suddivideva il territorio italiano in civico (laddove i cittadini mostravano maggiore sensibilità verso gli altri, il proprio ambiente e le istituzioni in generale, controllandole e sollecitandole a svolgere efficacemente i propri compiti) ed in non civico (laddove i cittadini si facevano meno carico di responsabilità nella gestione della cosa pubblica). Il risultato di questa suddivisione era che le regioni civiche mostravano buoni rendimenti (le amministrazioni insomma funzionavano: il rendimento istituzionale è un dato oggettivo e verificabile, la cui analisi ci viene dalla cultura anglosassone) mentre le regioni non civiche avevano scarsi risultati in termini di efficienza e produttività istituzionale. Il civismo non è solo il comportarsi bene con gli altri nella sfera sociale, ma è anche il rendere i cittadini, o il permettere loro di essere, partecipi effettivi nella gestione del patrimonio collettivo.
Nella cosiddetta prima repubblica siamo stati legati ad un’idea, basata essenzialmente sull’art. 49 Cost. (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”), per la quale la politica si sviluppa necessariamente, o comunque principalmente, attraverso i partiti politici e secondo il metodo democratico. Se c’è metodo democratico dev’esserci di conseguenza anche democrazia nella spesa: la maggioranza eletta, che rappresenta il volere della maggioranza dei cittadini, definisce una gerarchia delle priorità che durante la legislatura non deve essere modificata, pena la rottura del patto elettorale e della volontà popolare, né tantomeno stravolta tramite corruzione o altri metodi illegali. Tale gerarchia delle priorità definisce i capitoli di spesa, che possono conformarsi alla delega democratica solo se caratterizzati anche da qualità e competenza. Nei quasi settant’anni della nostra storia democratica, questo principio costituzionale non è stato quasi mai tradotto in pratica correttamente.
Certo, sappiamo bene che per i giornali è più comodo raccontare le cose che vanno male, perché è la patologia che fa notizia e fa vendere copie, ma se ascoltiamo il parere dei cittadini, cinquant’anni fa i partiti politici godevano di una fiducia che si attestava intorno al 60%, mentre altre istituzioni avevano una considerazione persino più elevata. Oggi i partiti, in base alle ultime rilevazioni di istituti accreditati, si attestano intorno al 3%; il Parlamento, che alcuni decenni fa aveva la fiducia del quasi 70% degli italiani, oggi è sceso al 7%. L’attuale governo nazionale si attesta intorno al 12%, e solo istituzioni come le forze dell’ordine o la presidenza della Repubblica vantano una fiducia che supera il 50%. Per il resto, la maggioranza dei cittadini considera la casta della politica un male, ed in questa opinione negativa fa rientrare quasi tutte le istituzioni pubbliche. La magistratura, ad esempio, si attesta attualmente intorno al 33% (mentre negli anni di tangentopoli raggiungeva il 70%): questo significa che ben 2 italiani su 3 non hanno fiducia nei loro giudici. É evidente che sono tutti dati preoccupanti, e che una tale diffidenza nei confronti delle più importanti istituzioni democratiche è un elemento di forte criticità per una nazione.
In realtà molto dipende anche dalla domanda che viene posta; ad esempio, restando in tema di magistratura, se si chiede quale sia la fiducia nei confronti dei giudici del proprio territorio, la percentuale sale fino al 55%, e se si interpellano i cittadini sulla fiducia che essi ripongono sulla competenza e affidabilità dei giudici secondo la loro esperienza personale, la percentuale arriva addirittura al 66%. Così, ad esempio, se chiedessimo ad un imprenditore veneto il suo parere sull’efficienza dello Stato italiano, sarebbe probabilmente molto negativo, ma se gli domandassimo invece della sua regione, o della sua città, presumibilmente affermerebbe che le cose non vanno poi così male. Se gli chiedessimo dell’economia italiana esprimerebbe un giudizio severo, ma se parlassimo piuttosto dell’economia del suo territorio, o del fatturato della sua stessa azienda, l’opinione verosimilmente sarebbe meno negativa. In sostanza, più ci avviciniamo al nostro ambiente, alla nostra comunità di riferimento, migliore diventa il nostro giudizio complessivo. In Francia il fenomeno sarebbe l’opposto: la nazione viene generalmente tenuta nella massima considerazione, mentre il giudizio sui singoli territori o sulle singole comunità è assai più pesante. Questo dimostra che ogni Paese risponde alla domanda sulla fiducia con la propria cultura, ma i dati risultano comunque diversi nella traslazione dal generale al particolare, dalla nazione alla specifica comunità.
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